Scrivere in occasione della Giornata Internazionale del Clima (International Climate Change Day) non è certamente facile. In primo luogo, perché temo nessuno sappia che il 21 giugno è dedicato ai cambiamenti climatici (nemmeno io fino a poco tempo fa!) e, in secondo luogo, perché davvero tanto è già stato scritto in proposito. Sottolineare – per l’ennesima volta – che le cose non stanno andando nella direzione giusta, forse non aggiunge valore per i nostri lettori.

Potrete quindi capire perché, quando ho scoperto che il 21 giugno è anche la Giornata Mondiale della Giraffa, ho colto l’occasione per incentrare l’articolo su questo magnifico animale, che vive nelle savane del pianeta e può arrivare – pensate – ad un’altezza di oltre 6 metri. La mia ricerca è cominciata con un articolo del WWF Roma che apre così: «E’ mortalmente silenziosa l’estinzione delle giraffe. […] Minacce principali per questa specie: perdita dell’habitat a favore dell’agricoltura e gli effetti dei cambiamenti climatici.» Insomma, sembra proprio che dai cambiamenti climatici non si scappi, quindi va bene, mi arrendo: parlerò di cambiamenti climatici. Ma scriverò di un loro aspetto di cui si parla poco e che tocca tutti noi.

Proprio tutti? Anche le persone che non mostrano alcun interesse per l’argomento? Ebbene sì, anche chi non crede che il disastro naturale di cui siamo testimoni sia dovuto all’azione dell’uomo prende una posizione nei confronti dei cambiamenti climatici: sceglie di ignorare il problema. Ciascuno di noi infatti è, più o meno, a conoscenza del destino a cui stanno andando incontro gli esseri umani, ma ognuno reagisce in modo diverso. Alcuni ci ridono sopra, altri vanno a fare una corsetta per distrarsi, altri ancora prendono l’argomento molto seriamente, ma ritengono di poter fare ben poco per cambiare rotta. C’è però una categoria di persone la cui paura di una catastrofe ecologica imminente si sta trasformando in un disturbo psicosomatico denominato « eco-ansia »

Le persone che soffrono di eco-ansia provano un forte disagio nel pensare a un pianeta in cui eventi metereologici estremi porteranno a siccità, migrazioni, inondazioni e guerre. La sensazione di un futuro incerto per sé e per i propri figli determina in questi soggetti uno stato costante di inquietudine. Incertezza che alcuni addirittura negano: c’è chi infatti sta ormai pianificando la propria vita in termini di collasso della società. Una setta di apocalittici, direte voi. Non esattamente. Il Professor Jem Bendell, fondatore dell’Istituto per la Leadership e la Sostenibilità dell’Università di Cumbria (Regno Unito), ha scritto un articolo nel 2018, che ha suscitato forte scalpore all’interno della comunità scientifica. Dati alla mano, il professore sostiene che sia ormai troppo tardi per evitare la catastrofe climatica.

Esperti e scienziati si sono spesi per ridimensionare la drasticità delle affermazioni dell’accademico, ma nessuno sembra però eliminare del tutto la possibilità che uno scenario così catastrofico possa effettivamente realizzarsi. Come comportarsi dunque? Anche in questo caso esistono diverse opzioni. Coloro che si riconoscono nella previsione del professor Bendell possono, per esempio, partecipare ai “Caffè della Morte” (Death Cafes), spazi virtuali in cui poter apertamente parlare dei cambiamenti climatici, della morte e del destino dell’uomo. Altre persone invece possono recarsi alla Clinica per la Salute Ambientale dell’Università di New York, dove i pazienti, anziché una prescrizione medica, ricevono una lista di azioni da compiere nel loro quotidiano per avere un impatto positivo sul pianeta.

Psicologi e psicoterapeuti sembrano tutti d’accordo nell’affermare che agire e sentirsi parte di una comunità attiva sia il miglior rimedio per contrastare gli effetti di eco-ansia, depressione climatica e rabbia climatica. Iscriversi ad associazioni ambientali locali, partecipare ad interventi di rigenerazione urbana, raccogliere dati per uso scientifico, sono tutte azioni che impediscono alla paura di avere il sopravvento. Un aspetto interessante di queste raccomandazioni è che valgono sia per chi non crede ci sia più speranza per la Terra, sia per chi ritiene siamo ancora in tempo per cambiare le cose. È vero, non c’è alcuna garanzia che “andrà tutto bene”, ma questo non dovrebbe impedirci di fare la cosa giusta. La battaglia contro i cambiamenti climatici è una battaglia che stiamo perdendo, ma il coraggio di agire non può che portare benefici.

Lorenzo Pezzati
Co-fondatore di Kukula